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TANGO

Introduzione

Carlos GardelBuenos Aires fu ed è l'indiscussa capitale del tango, la Mecca d'ogni giovane che disegnava note su un pentagramma, che trasmetteva la sua opinione poetica alla carta o che preparava la gola per cantare, benché la creatività di quella vita che bolliva tra creoli, tanos, galiziani e gauci spaesati era, ed è, condivisa da sorelle minorenni come Montevideo, Rosario, Cordova e Mendoza, tra altre. Perché le speranze ed i problemi erano, e sono, uguali in tutte le grandi città della regione. In tutte esse stava, e sta, lo stesso brodo di coltivazione.

Il tango seguì le peripezie della gente e l'accompagnò in queste decadi. Ebbe i suoi momenti di gloria come gli ebbero argentini ed uruguaiani. Ed anche i periodi di dolore e crisi. In quel senso, fu solidale con l'evoluzione dei paesi. Ma non senza una dose di premiata birichinata, seppe avere la sua autonomia ed universalizzarsi. Quello è il grande paradosso del tango. Da dentro, camminava alla velocità della società.

Quando il "Rio de la Plata" si mangiava il mondo con economie fiorenti, meravigliosi artisti, pensatori di gran fama ed un calcio imbattibile, il tango mostrava tutto il suo vigore. Nei tempi di dolore e di crisi in questi paesi il genere sembrava assopito e, molte volte, sconfitto dalle cose nuove che arrivavano dall'estero. Nel mondo, tuttavia, manteneva tutta la sua validità e, per esempio, gli spettatori tremavano nei cinema della strada Lavalle a Buenos Aires o quella del 18 Luglio a Montevideo quando in innumerevoli film stranieri suonavano i primi accordi di qualsiasi tango.

Fuori viveva ed era riconosciuto, benché nel "Rio de la Plata" si ammazzassero una ed un'altra volta. Ma anche una ed un'altra volta il tango risorse dalle sue apparenti ceneri con nuovi e brillanti autori, notevoli cantori e spettacolari ballerini. Perché è immortale e ha la forza vitale che, in maggiore o minore proporzione, da il popolo attraverso gli anni. Affinché il tango muoia sarà necessario che il "Rio de la Plata" sparisca dalla faccia della terra. Così come questo non succederà mai, allo stesso modo non sparirà nemmeno il tango. E per questo motivo, per ogni periodo di tempo sarà necessario aggiornare la storia del tango aggiungendo l'eternamente nuovo che andrà apportando.

La grave e calda voce di Julio Sosa scappa dalla placca di un disco, domina l'ambiente e lascia passo ad una riflessione che ancora di più è certezza ed accertamento nonostante il tono interrogativo dei versi: "Chi ti ha detto, pibe, che passò il tempo firulete?" Senza dubbio chi fece quell'audace affermazione non è di questo mondo e non sa che ci sarà tango fin tanto che ci sarà un uomo disperato per baciare le labbra di una pibeta in fiore, un tradimento da raccontare, un lamento da trasmettere o un'allegria da condividere.

Origine della parola tango

Tra i molti misteri che rinchiude il tango, il primo è quello della sua propria denominazione. La voce tango si trova nelle culture africana, ispanica e coloniale. Secondo alcune teorie, tango deriverebbe da tang che in una delle lingue parlate nel continente nero significa palpare, toccare ed avvicinarsi. Tra i bantu, inoltre, ci sono due lingue che si denominano tanga e tanghi. E tra le lingue sudanoguineane figura il tangalé. Curiosamente, il contenuto ispanico della parola si avvicina al africano tang. Tango in castellano è considerato una voce derivata da tangir, che in spagnolo antico equivale a suonare, e di tangere, cioè, toccare in latino.

Nella colonia, a sua volta, tango era la denominazione che i neri davano alle sue toppe di percussione. Essi la pronunciavano come parola acuta: tangó. E tangó erano anche i balli che organizzavano gli africani arrivati alla forza al "Rio de la Plata". In quelle riunioni si creavano tali disordini che i montevideani ricchi, autoconsideratosi rispettabili, arrivarono a chiedere al viceré Francisco Javier Elío che proibisse i tanghi dei neri. L'accezione honduregna che offre il dizionario, riferita ad una specie di tamburo che fabbricano gli indigeni, sembra avvicinarsi al senso africano della parola. è difficile sapere se si tratta di una casualità o di una trasculturazione.

Soltanto come curiosità, visto che in in principio non hanno vincolo con l'origine del tango del "Rio de la Plata", è bene menzionare che una regione del Giappone si chiama Tango, nonché una festa infantile di quel paese e che anticamente in Brasile tango era sinonimo di samba.

Conformazione

Il pretango, i generi musicali e gli interpreti che servirono da antecedenti al tango si rifugiavano in bar da marinai, in stanze di ragazze malfamate, in milongas di brutta fama, in dubbiosi cabaret ed in case da appuntamenti.

Il tango come tale, tuttavia, ebbe dall'inizio vocazione di gran torrente e cercò gli spazi aperti fino a raggiungere l'universalizzazione. Prudencio Aragón con "El Talar" (1895), Rosendo Mendizábal con "El Entrerriano" (1897), Ernesto Ponzio con "Don Juan" (1898) e Manuel Campoamor con "El sargento Cabral" (l899), autori dei primi tangazos della storia, costruirono le fondamenta sulle quali si sarebbe stanziato il nuovo e neonato edificio musicale. Vista la loro indipendenza, la loro personalità, è particolare la coincidenza con la quale ognuno di essi qualificò la sua rispettiva opera: Tango creolo per pianoforte.

Con l'aggettivo creolo si rivendicava una creazione autoctona. E con la menzione del pianoforte si stava informando che già allora il tango si era arricchito strumentalmente e che era passato ad essere interpretato nei saloni.

In precedenza, negli ultimi tratti della sua gestazione, a Buenos Aires, gli italiani avevano aggiunto la fisarmonica e l'organo, coi quali davano al tango il suo tono piagnucoloso, che senza dubbio avrà influenza sulle posteriori lettere lacrimogene; è difficile trovare un'altra combinazione strumentale tanto appropriata per riflettere poeticamente la tristezza e la sofferenza davanti al tradimento o davanti alla povertà che non rimediano né il lavoro né l'onestà.

Il nuovo prodotto non rimase confinato a posti di dubbioso prestigio, bensì riflesse l'anima delle classi popolari, dei lavoratori, i quali giorno dopo giorno lottavano per la sussistenza e soprattutto della gente semplice che abitava nelle periferie delle principali città del "Rio de la Plata". Il popolo riempiva a Buenos Aires i peringundines e le accademie di Montevideo. Piringundines ed accademie erano modesti locali da ballo che, alla fine del secolo XlX, furono fattori fondamentali tanto per l'espansione del tango come per lo sviluppo della sua coreografia affinché le coppie imparassero a ballarlo.

La poesia tanghera

Nonostante la sua importanza, la poesia tanghera è uno degli aspetti meno studiati del genere. La bibliografia registra molte apologie di vocabolario vuoto che appena sanno cadere nel luogo comune, biografie di compositori, coristi e parolieri eccellenti, notabili studi intorno ai temi musicali e strumentali, investigazioni sociologiche e storiche di gran valore ed antologie dei testi. Su questi, tuttavia, la letteratura non è molto estesa né profonda. Non si è realizzato ancora un lavoro ordinato ed organico che abbracci il distaccato fenomeno di un genere letterario che, come già si disse, comprende tutti gli aspetti dell'esistenza umana con caratteristiche proprie e molto particolari.

Daniel Vidart, nella sua opera Il tango e suo mondo, si avvicina in maniera interessante al problema in un sforzo per sistematizzare lo studio dei testi. Dopo aver evidenziato che questo è uno dei temi meno trattati, benché chissà il più attraente, Vidart afferma che nei testi si nasconde quasi sempre tutto un mondo respinto che costituisce la chiave profonda del suo essere e la sua funzione nella cultura del "Rio de la Plata". Classificarli vuol dire limitarli, coartare la loro spontaneità anarchica, il loro camaleontismo circostanziale. Si può tentare di individuare un ordine, prevenendo che in questo senso non si tratti di ricette infallibili né criteri assoluti perché, alla fine, quello che interessa è la qualità del pensiero interpretativo e non il preziosismo dell'impalcatura formalista.

Su questa base, l'autore orienta il suo studio verso quattro aspetti differenti delle lettere: il linguaggio, lo stile, l'elocuzione e i temi. A sua volta distingue tre tipi di linguaggio usati nella creazione dei testi di tango: il popolare, il lunfardo e quello colto.

IL LINGUAGGIO POPOLARE

Il linguaggio popolare è quello che si usò nelle prime lettere di corte orillero. Vidart fa notare sulla possibile confusione tra orillero e lunfardo, perché nel "Rio de la Plata" si dà l'erronea tendenza a designare come lunfardo il linguaggio dei sobborghi.

Sebbene ci sono espressioni lunfarde adottate dalla lingua orillera, esse sono in realtà una forma di comunicazione tra delinquenti, praticata solo dagli iniziati. Nella Lingua Nazionale del Rio de la Plata, Vicente Rossi, citatoda Vidart, sostiene che il linguaggio orillero è la parlata capricciosa del creolo dei quartieri periferici. "E non è qualunque cosa quell'umile nativo - afferma Rossi - né tanto brutto, né tanto compare, né tanto pagliaccio come il sainetero lo presenta; è un abile buffone in lessico spontaneo ispirato nel suo ambiente carico di giri creoli e dei patois del continente europeo che fanno lì la sua prima tappa nella conquista dell'America, quella della conquista del pane. Il linguaggio dell'orillero è di sua particolare inventiva; sempre grafico, esatto nell'allusione; metaforico e onomatopeico mericismo, sempre inclemente nell'ironia; e sempre innovativo perché l'orillero è un instancabile rinnovatore del suo pittoresco lessico.

Vidart, in un ironico paragrafo della già citata opera, afferma che "il linguaggio popolare di Montevideo, di Buenos Aires, di Rosario, sintetizza e unisce, con l'alchimia propria delle città portuali gli elementi linguistici dell'hinterland americano, dei patois europei e degli argots della malavita creola ed internazionale con essi innestata, a dispetto dell'impaurito cartello retro degli accademici, il venerabile ceppo della lingua di Cervantes. Il linguaggio popolare balza, come la linfa, dalla radice della moltitudine al fiore delle elite ed avanza, come una macchia d'olio, dalle periferie al cuore delle città".

IL LINGUAGGIO LUNFARDO

Il lunfardo è la forma di comunicazione dei delinquenti, soprattutto dei ladri e lenoni. Uno dei suoi principali obiettivi è dissimulare le intenzioni di chi lo pratica. Difficilmente quel materiale umano può produrre una poesia ricca, capace di diffondersi tra il gran pubblico. Per questo motivo è valsa la distinzione che fa Vidart tra lunfardo e lunfardesco. In realtà, la cosa corretta è parlare di lettere lunfardescas, scritte da autori che conoscono molto bene il linguaggio e il suo ambiente, ma che tuttavia non appartengono ad essi.

La struttura del lunfardo si nutre dalla sostituzione di sostantivi, verbi, aggettivi ed interiezioni castigliane per termini, ai quali è cambiato il loro significato, provenienti dal tedesco, dal gitano, dall'italiano ed i suoi dialetti, dal francese, dal portoghese, dall'inglese, dalle lingue indigene e perfino da parole ispaniche alle quali si da loro un senso che niente ha a che vedere con l'originale.

Un elemento ausiliare del lunfardo è il vares, cioè la pronuncia delle parole cambiando l'ordine delle sillabe: tango è "gotan", bacán è "camba", viejo (vecchio) è "jovie", cabeza (testa) è "zabeca" e così via.

Ovviamente, questa lingua non ha regole fisse e mostra un enorme dinamismo. La gente della malavita e gli interni delle carceri provano continuamente variazioni che, quando hanno successo e sono accettate, si espandono a velocità vertiginosa.

A Buenos Aires, più che in Rosario e a Montevideo, lo stile lunfardesco ebbe importanti cultori nel giornalismo, nella narrativa, nel teatro e nella poesia. In questo settore, per il trasferimento delle sue opere al tango, emersero nei primi tempi Carlos della Pua, Celedonio Flores, Bartolomé Aprile, Yacaré, Joaquín Gómez Bas e Julián Centeya.

Questa forma di comporre poesia tanghera è rimasta lungo le decadi e nella seconda metà del secolo sono da sottolineare le registrazioni di Edmundo Rivero - un appassionato del tema - con milongas e tanghi lunfardescos e le opere in versi, prosa e chiacchierata di Nyda Cuniberti, Roque Rosito Lombardi, Luis Alposta e Daniel Giribaldi.

IL LINGUAGGIO COLTO

Vidart ricorda che i linguisti chiamano linguaggio colto quello usato dagli strati superiori della società, con cui si concede alla cultura un'enfasi classista. Per quel motivo stima che la denominazione è poco azzeccata e che si dovrebbe parlare di linguaggio delle elite, dell'intelligentsia, "perché la cultura nel suo ampio senso abbraccia tutte le manifestazioni ideologiche e tutti gli strati sociali di una nazione".

Con quel significato equivoco, "il linguaggio colto non è cosa frequente nei testi del tango. Trascesa la tappa ingenua dei peringundines e superato il ciclo lunfardesco del cabaret, il tango si trasforma nell'ampio ricettacolo dell'ispirazione popolare. Il linguaggio, a dispetto di certe ricadute ermetiche, si rischiara; i temi si moltiplicano; il funzionalismo culturale si va precisando con definito sbieco. Come il corrido messicano, il tango è ora un jolly che esprime le allegrie, le tristezze, le inquietudini, le grossolanità ed i pregiudizi del popolo. Le lettere cantano a tutte le istanze della complessità vitale; la civiltà di masse spunta in esse la sua prua massiccia e plasma, di modo sommario ma totale, un'etica, un'estetica, una sociologia, un'assiología ed una metafisica popolare".

Un sentimento triste che si balla
Il tango fu prima di tutto danza. Creazione spontanea dell'uomo e la donna nello scenario prostibolario del sobborgo di altri tempi. I musicisti, quasi tutti intuitivi, dovettero adattarsi a quella nuova forma di ballare e, a loro volta, crearono la musica che raggiunse la sua redenzione dopo il trionfo a Parigi.

Il tango nacque come una forma diversa di ballare rispetto alle habanere, mazurke, chottis, milongas... Un prodotto popolare proprio del sobborgo, lo scenario dove all'inizio il gaucho diventò il compare e subito il compadrito e i neri liberati trovavano già spazio nelle città. Lo scenario facilitò il ritrovamento. Nel postribolo era possibile abbracciare la compagna di ballo, adattarsi al suo corpo: viso contro viso, petto contro petto, ventre contro ventre, coscia contro coscia, polso contro polso. Horacio Ferrer ha credeva di vedere, in quel fuggitivo istante in cui si abbracciavano la pupilla ed il compadrito, un soffio di divinità.

"Maschio e femmina - disse - legati in nome della bellezza si alzano, senza volere, dalla loro propria spazzatura. Ed unti artisti, tentano in due il puro esercizio della solitudine. Ballano e ballano creando quello che mai ha ballato nessuno". Si considera un bizantinismo insensato, completamente irreale, pretendere di schematizzare una coreografia del tango e le sue figure. Il tango dei principi fu, al suo giudizio, "la più straziata ed imprevista creazione coreografica per una coppia che supererà, a questo rispetto, le creazioni del barocco popolare spagnolo o dell'alto valzer tedesco".

La storia parlerà di quel tango orillero. Poi verranno il canyengue ed il liscio di salone. Forme distinte di ballare "un sentimento triste" secondo l'azzeccata definizione di Enrique Sacro Discépolo.

Lo scrittore nordamericano Waldo Frank ebbe la stessa impressione quando visitò il paese e non dubitò nel riconoscere che quella era la danza popolare più profonda del mondo. Una sorpresa che condivise la sua compatriota, la ballerina Isadora Duncan: "Io non avevo mai ballato un tango, ma un ragazzo argentino che mi serviva da guida a Buenos Aires mi obbligò a provarlo. Ai miei primi passi timidi sentì che le mie pulsazioni rispondevano all'incitante ritmo languido di quella danza voluttuosa, soave come una lunga carezza, inebriante come l'amore sotto il sole di mezzogiorno e pericolosa come la seduzione di un bosco tropicale".

A questo punto, il tango aveva lasciato la clandestinità dei suoi inizi. Il peccato originale - lo spurio della sua culla - era stato perdonato dal Papa Pigolo X e lo stampo di qualità l'avevano imposto a Parigi nei saloni più aristocratici della città di luce, conosciuto da ragazzi di buona famiglia della categoria di Vicente Madero, Macoco Alzaga Unzué o López Bouchardo. "Fu come - bene disse Ulyses Petit di Murat - il puerile orgoglio nazionalista che portavano quelli che avevano assistito al trionfo del tango a Parigi, quello che aprì a quella danza di periferia le porte delle ville del viale Alvear, del Callao, di Santa Fé, della Florida e della villa dei Tornquist". Era il tango liscio - con luce tra i ballerini - che raggiunse una grandissima diffusione in saloni, cabaret e dopo nei club di quartiere fino a trasformarsi nella danza più popolare fino alla molto avanzata la decade degli anni Cinquanta.

Danza soprattutto e prima che niente
Lo stesso Vidart, senza essere riuscito a trovare le differenze tra la nascita del ballo e del testo, sostiene che "il tango è prima e soprattutto una danza" e che fu solo dopo che si fece strada il canto, ma che nessuno poteva ballare quello che cantava Gardel; il Mago bisogna ascoltarlo col mento appoggiato al pugno, vedendo cadere lentamente la pioggia sulle strade della città e della nostalgia.

Per questo autore il tango nacque come un ballo popolare e prima che cristallizzassero "le sue caratteristiche sonore" esistevano già nel "Rio de la Plata", tanto a Montevideo come a Buenos Aires, i personaggi e gli scenari da dove partì alla conquista del mondo. Apparve la danza - afferma Vidart - senza altre connotazioni che quelle della danza stessa, al margine del postribolo, adottato gioiosamente dopo. "Le accademie montevideane e le case da ballo corraleras del porto di Buenos Aires - scrive il prestigioso investigatore - sono i primi alambicchi dove filtra la sua coreografia. A Montevideo, le orchestre, puro ritmo viscerale, non avevano la fisarmonica; nei peringundines del porto, eredi delle case da ballo, l'immigrazione italiana impose gli organi e le fisarmoniche, e con essi il tango cominciò a piangere, a preparare la strada alle lettere lacrimose, alle elegie con cornuti e battone spiantate".

Schematica ma abilmente Vidart descrive quell'itinerario del tango-ballo: "Stanze d'amore, cafetines ballerini portuali, accademie o peringundines, teatro del Rio de la Plata, postribolo, cortile di convento proletario, cabaret; questi sono i successivi scenari del tango. Poi è pietra libera e si lancia alla conquista del mondo saltando dalle sponde del Rio de la Plata al trampolino di Parigi.

Il tango è cosa da uomini
L'ipotesi che la coreografia tanghera nacque come derisione al candombe nero trova presa nella sua propria evoluzione. Tutti i testimoni coincidono a dire che le filigrane di un tango cominciarono a ricamarsi di forma individuale. Il compadrito, in un angolo, dimostrava ai suoi amici, o alla donna che voleva conquistare, le sue abilità per il taglio e la piega. è la creazione di un solitario che esibisce orgoglioso qualcosa che non esisteva.

Posteriormente il tango fu ballato solamente tra uomini, benché questo fatto scandalizzi a Vidart che lo nega con durezza. "è una bugia, un errore, è chiacchiera da intellettuali freddolosi, che appena scoprono il tango e si vogliono scaldare il sangue con la sua brace dicendo che il tango fu ballato da soli uomini al suo inizio. Il ballo di coppia tra uomo e donna è un simulacro di accoppiamento delle società primitive e ad esserlo oggi oggi, nonostante tutte le fioriture interposte dal salone tra la coreografia ed il sesso. Il tango, come prima la milonga e prima ancora la danza, si ballò sempre in coppia tra maschio e femmina. Quando ballavano due uomini insieme era per imparare passi difficili per semplici ragioni pedagogiche e nient'altro. Cercare altre motivazioni sarebbe stupido, se non grottesco".

Sicuramente, questo è uno dei pochi casi in cui Vidart, che ha dato straordinari contributi allo studio della musica popolare, si sbaglia. Perché, benché sembri assurdo, in quanto danza per coppie, il tango cominciò essendo ballato tra uomini. Già Evaristo Carriego, il primo gran poeta dei quartieri popolari di Buenos Aires, l'attesta, circa 1906, nel suo poema L'anima del sobborgo: Per strada la buona gente dilapida / le loro frasi più lusinghiere, /perchè all'unisono di un tango che è "La morocha" / brillano agili passi due orilleros.

Carriego non descrive a un uomo e una donna ballando, bensì a due uomini. Le prove testimoniali e fotografiche di compaesani ballando sono numerose. Leone Benarós fondamenta questa realtà nel machismo imperante nei sobborghi ed in tutta la società di quell'epoca. "In maniera assurda - scrive - è una coppia di uomini la prima che si avvenne a ballare il tango, in qualche angolo. Il tango sembrava essere solamente "cosa da uomini". Indignerebbe attribuire all'atto il più minimo contenuto omosessuale. Si tratta di una dimostrazione di abilità, di una bella figura. Nonostante ciò, quando il tango conquistò la donna per la danza, ella non sarà l'ingrediente fondamentale, l'obiettivo ultimo, bensì la danza in sé, l'ostentazione di saper ballare, il rispetto quasi liturgico per quello che si va facendo, senza un'altra intenzione, senza lubricità alcuna. Solo quando il tango diventa "notturno", quando si fa materia da cabaret, si converte, a volte, in pretesto per la finalità amorosa.

"Ma il vero creolo, l'argentino, è pudico della sua intimità. Egli respinge ostentatamente il palco pubblico, per rispetto a sé stesso e alla sua compagna". Benarós insiste nel discorso e apporta altri testimoni, alcuni dei suoi argomenti sono di molto peso. Per esempio, quando afferma che la dimostrazione di due uomini ballando è asettica, insospettabile da secondi fini, perché "il terzo sesso appena potrebbe sopravvivere in un ambiente di crudo machismo come quello di allora. Anche se la donna accetta il tango e si incorpora al suo culto, le prime ballerine sarebbero le battone cinesi e le ragazze dei bordelli, il narcisismo del compadrito servirà più il tango in sé che alla sua compagna d'occasione. Non gli importerà neppure troppo che sia bella, ma che balli bene, che l'accompagni nella dimostrazione con intelligenza e bravura".

L'autore cita inoltre a César Viale che conferma quanto prima: "Il tango non era arrivato ancora in centro, camminava per i sobborghi; si ballava tra uomini nei sentieri, di fronte ai cortili, all'unisono degli organi con ruote condotte dai loro proprietari, c'erano napoletani e calabresi di chioma rannerita e lucida".

Un altro notabile investigatore, Horacio Ferrer, è della stessa opinione benché aggiunga una sfumatura. "Alcuni cronisti -afferma - sostengono che negli inizi il tango era ballato tra uomini. Dobbiamo dire meglio che si balla anche tra uomini, perché sempre, fino ad oggi, è stato ballato da coppie di uomini, ma in quasi tutti i casi come allenamento per ballarlo con le donne. Anche se nella posteriore epoca dei cabaret, mentre aspettano i clienti, le donne ballassero tra sè.

I primi ballerini
Se la coreografia tanghera evolse parallelamente alla musica e le sue figure si nutrirono delle stesse fonti, i generi importati ed i creoli, è giusto ubicare i primi ballerini tra i creatori del tango. Ovviamente, i primi-primi non lasciarono traccia dei loro nomi, quando deridevano i balli dei neri alle porte di una candombe o quando innovavano nelle figure di un'habanera o di un tango andaluso.

Ma la tradizione orale ed alcune cronache ricordano nomi che diventarono famosi con le loro corride, corti e pieghe: il Magro Saúl, Mariano Cao, il payador e grande cantore di fine e inizi di secolo Arturo de Navas e Juan Filiberto, padre di Juan de Dios Filiberto, l'autore del famoso Caminito. Solo di questi due ultimi ci sono notizie più affidabili della mera leggenda. Filiberto, alias Mascherina, era di professione muratore benché gestisse a fine secolo due case di ballo: il Bailetín del Palomar, vicino all'angolo di Suárez e Necochea, ed un'altra a Brandzen e Villafañe. Suo figlio Juan de Dios lo descrisse come una persona "allegra, un pò spensierata, ma semplice e buona, aveva la risata facile e l'umorismo brillava nei suoi occhi e scappava dalla sua bocca quasi senza che potesse evitarlo. Cantava con una voce gradevole da tenore e mi piaceva ascoltarlo. Ballerino di natura, dei migliori ballerini di tango boquense; la sua fama era ben riconosciuta".

A sua volta, le condizioni di De Navas come ballerino rimasero documentate nel 1903 in foto edite in "Caras y Caretas". Di lui si sa solo che nacque nella città uruguaiana di Paysandú il 1876 e che morì a Buenos Aires nel 1932.

Entrata della donna nel ballo
La donna si piegò alla danza nei bordelli, i peringundines e le accademie. Ma solo dal 1904 circa le dame dei quartieri popolari osarono ballarlo.

Tra le prime, nonostante godessero di grande fama nel sobborgo del porto di Buenos Aires, la tradizione orale e qualche cronaca persa hanno solo lasciato nomi o soprannomi: la Parda Refucilo, Pepa la Chata, Lola la Petiza, la Mondonguito, María la Vasca, la China Venicia, María la Tero, Carmen Gomez, la Bruna Flora e la famosissima bionda Mireya che attuò nei locali di molti quartieri del porto di Buenos Aires. Mireya, anche conosciuta come l'Orientale perché nacque in Uruguay, ispirò due tanghi: Tempi vecchi, di Manuel Romero e Francisco Canaro, e La bionda Mireya, di Augusto Gentile.

Ma il tango come danza non rimaneva limitato ai bassi fondi o ai loro ambienti vicini. Si estenderà ai quartieri proletari e sarebbe diventato l'allegria delle nozze, dei compleanni e delle feste d'ogni tipo.

Al rispetto Benarós fa un azzeccato commento che è il riflesso dei tempi nel quale la danza transita da sotto verso l'accettazione popolare. "La vergogna delle donne, le chiacchiere presumibilmente sbarazzate; il tango come spettacolo ambulante; la lusinga del compadrito sentendosi osservato ed elogiato. Il tango ha ancora macchia di infamia, presunzione di danza da bordello, scandalo per le famiglie. Ballarlo vuol dire, in qualche modo, contaminarsi da quell'origine. Poi verrà il bagno lustrale, la coreografia diventata decente, sarà accettata dalle migliori famiglie. E in qualche modo, smetterà un pò di essere il tango prepotente, sfidante e allegro delle origini, per tingersi di una certa morbida sentimentalità, fuggendo ogni volta più dai piedi del ballerino per alloggiarsi quasi definitivamente negli uditi..."

Estratto e tradotto da www.geocities.com/Eureka/Concourse/4229/historia_del_tango.htm