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Che cavolo è una "società civile"?Neera Chandhoke
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Se la globalizzazione ha un corpo la sua testa è la Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Nel 2004, nel suo decimo anniversario, l'OMC pubblicò un importante rapporto sulle sue attività e prospetti, scritto da un influente comitato presieduto da Peter Sutherland (il creatore dell'OMC nel 1994 e adesso amministratore delegato della British Petroleum). Osservando in avanti su come l'OMC dovrebbe cercare di modellare la sua prossima decade, il rapporto non esclude delle questioni anche polemiche. Il capitolo sulla "Sovranità" avverte le nazioni-stato sulla miglior via per spartire equamente la sovranità per mutuo beneficio; un altro capitolo "Trasparenza e dialogo con la società civile", esamina l'impatto su quello che gli autori chiamano la "rivoluzione associativa globale". Gli autori considerano l'aumento e l'influenza "della società civile" come irreversibile. Raccomandano all'OMC il miglior modo per impegnarsi con le organizzazioni non governative (ONG), aumentare la propria trasparenza e negoziare con gli attori non statali mentre allo stesso tempo affrontano le loro critiche. Il rapporto è un prodotto del contesto post-Seattle, post 9-11 settembre. Non sostiene il libero mercato "neo liberalistico"; la sua preoccupazione è con il governo delle forze globali e vede la società civile come una di esse. È difficile immaginare l'istituzione della società civile, in questo contesto, dieci anni fa. Pur il considerevole successo dei quattro rapporti annuali pubblicati da Mary Kaldor Società Civile Globale e prodotti dalla Scuola di Economia di Londra, ancora c'è un'aria di avvocatura intorno a questo tema. Ma "la società civile", si può dire adesso, è qui per rimanere. In questo senso è stato confermato dagli ex-capi di stato che compongono il Club di Madrid. La loro agenda. (Madrid Agenda) nel Marzo 2005, richiama per "la creazione di una rete di cittadini globali, in modo che i capi della società civile siano sulla prima linea del fronte della lotta per diffondere la democrazia in tutto il mondo". L'instaurazione di una società civile significa che ha cessato di essere un concetto "euforico". Ciò è in contrasto con il 1990 quando gli intellettuali, gli attivisti politici e alcuni politici si affrettarono ad acclamare la nozione. Oggi c'è molto più controllo, esitazione, ambiguità e scetticismo tra coloro che scrivono a questo proposito. Questo, mi sembra, è uno sviluppo da gradire. I motivi per l'attrazione del termine sono facili da intuire. Sono associati con tre sviluppi attinenti:
Nel frattempo, il ritiro degli elettori dalla partecipazione politica nei paesi sviluppati e la generalizzata sensazione di un'assillante alienazione dei cittadini dell'Europa occidentale e gli Stati Uniti ha fatto anche il tema della società civile interessante: promette un ritorno alla vita associazionistica, permettendo impegnarsi con lo stato e promuovendo la solidarietà nella sfera pubblica. Ma sebbene è diventata popolare attraverso società di molti livelli differenti e attraverso diverse tonalità ideologiche, la nozione di società civile è diventata confusa e confusionaria. Michael Edwards nella suo leggibile e fine sfumatura Società Civile, intende rassicurare entrambe, l'idea e l'insieme delle pratiche che costituiscono la società civile. Da intellettuale e come uno che può essere chiamato un professionista delle politiche sociali civili, alla Fondazione Ford (dove la sua sezione, tra l'altre cose, aiutò a sostenere openDemocracy) propose di chiarire e di ricostruire il concetto. Edwards descrive tre usi differenti del termine:
"Società civile", dice Edwards, "è la storia della gente normale vivendo vite straordinarie attraverso i loro rapporti con gli altri, andando avanti con una visione del mondo che è governata dall'amore e della compassione, della non violenza e della solidarietà." Io condivido le sue speranze. Ma esito a condividere il suo più positivo giudizio di "società civile", che per la fine di un breve ma importante libro, oscura la sua iniziale comprensione dei problemi che pone. Sembro di essere un teorico politico, ma parlo anche come un cittadino dell'India, in cui la politica di intolleranza, di fondamentalismo e di avversione rabbiosa per le minoranze, sovrastò di molto la società civile indiana verso gli anni 80 e 90. Ho già un problema quando Michael Edwards scrive che i filosofi hanno usato il concetto di società civile dalla antiquità per aiutarla a capire questioni tanto importanti all'ordine del giorno, come:
Che queste grandi questioni hanno preoccupato molto la filosofia politica dal suo inizio è innegabile. Ma che tutte queste questioni siano state afferrate o indirizzate attraverso le epoche via il prisma concettuale di "società civile" è altamente discutibile. Generalizzando, Edwards apre la strada affinché essa sia considerata quasi il lato positivo della natura umana in sé. Hegel sostenne il contrario, che la società civile è una caratteristica del mondo moderno. I Greci, per esempio, non avrebbero riconosciuto il concetto. L'unico modo di organizzazione che a loro era familiare e avevano sostenuto era esso che Aristotele chiamò koinonia politike. I Greci non hanno posseduto la nozione all'inalienabile diritto della libertà individuale, la quale è una predominante caratteristica delle teorie della società civile. Anche se il termine fu alcune volte usato nelle società pre-moderne, soltanto quando la modernità diventò la caratteristica principale del mondo essa acquistò il significato che ci è familiare oggi. Nel suo uso moderno, "società civile", fu una idea sviluppata dal Scottish Enlightenment (Illuminismo Scozzese). Per uno dei suoi pensatori principali Adam Ferguson, era quasi intercambiabile con la società commerciale. In uno dei suo classici testi Saggio sulla storia della società civile, la nozione è intimamente collegata all'emergere dell'economia di mercato. È inoltre un chiaro dominio caratterizzato dalle realizzazioni morali e culturali, dalla sottomissione del governo ai regolamenti della legge, da un senso dello spirito pubblico e da una complessa divisione del lavoro. La divisone del lavoro è particolarmente importante. Per Adam Ferguson, la società civile si presenta quando la produzione si sposta dalla unità familiare e degli sconosciuti diventano dipendenti a vicenda. Ferguson, e più tardi economisti politici classici, considerarono la società civile come il fulcro in cui le energie individuali e collettive si fusionavano in una economia di mercato basata sul riconoscimento legale della proprietà come radice della libertà. Hegel collegò anche la crescita della società civile allo sviluppo del mercato. Ne La filosofia del diritto, Hegel definì burgerliche gesellschaft (società civile) differenziandola a der staat (rigorosamente lo Stato politico) come un insieme di pratiche sociali generate dall'economia capitalista che riflette l'ethos del mercato. È pertanto un concetto sommamente moderno che fa parte dello sviluppo del capitalismo. Offre le possibilità per auto-realizzarsi in modo che forme di società anteriori non avevano. Ma Hegel era inoltre cosciente che la società civile deve soffrire dagli stessi problemi del mercato stesso, che proviene da una azione se stessa interessata. Per Hegel non è semplice il regno della sollecitudine e del mutuo soccorso, come teorici contemporanei della società ci farebbero credere. Invece, Hegel percepisce una profonda tensione tra l'ethos individualistico che crea la società civile e la riproduzione della comunità come un ente etico. Quando gli individui sono motivati da interessi personali e da auto ingrandimento, "la società si permette uno spettacolo stravagante e pronta anche ad una degenerazione comune ad entrambe, fisica ed etica" (La filosofia del diritto). La modernità non ha riposo, è alla ricerca e preservazione di se stessa, ricercando senza fine piacere, sebbene ciononostante, è liberata dai fini prefissati e dai ruoli stipulati dal feudalismo. Ecco perché, per Hegel, la società civile - malgrado essere uno dei "momenti" della vita etica - deva infine essere controllata; deva essere "addomesticata" dallo Stato. Al contrario, la tradizione liberale vede la società civile come la base per la vita associazionistica degli individui - che porta con sé i suoi diritti. Governata dalle regole della legge, sostiene la formazione dell'opinione pubblica che serve a sua volta a controllare lo Stato. Democratici liberali, coscienti della tendenza ad un'azione interessata a se stessa da distruggere, salutano la vita associazionistica come un modo di risolvere i problemi dell'azione collettiva. Oggi, la gente deve creare vite comuni, costruire sfere di intimità, inventare aree di solidarietà e assumere aspettative di fiducia. Un equilibrio deve essere trovato tra la stessa individualità e la sociabilità. Ma perché dalle associazioni si aspetta che facciano cose abbastanza diverse - da costruire valori morali a risolvere il problema della disoccupazione - la vità associazionistica è gravata da troppe aspettative. 2. Gli argomenti di Michael Edward:
associazione, valore, dialogo
Il primo aspetto della definizione di Michael Edwards di società civile è quello di un'area di associazione, sottolineando in particolare il fenomeno dell'aumento delle organizzazioni non governative. Ma in che senso sono le ONGs rappresentative? Consultano ancora gli elettori ai quali si rivolgono e soprattutto, a chi sono responsabili? Il lavoro di Helmut Anheier dimostra che gran parte del settore non governativo, distante dal essere spontaneo, è altamente professionalizzato e tecnico; non sembra libero dalla corruzione, come il caso di una ONG ambientale in Messico insegna. Michael Edwards riconosce che è difficile isolare la sfera delle associazioni contemporanee dal mercato e dallo Stato. Ma se esse non possono essere isolate, che valore tiene per noi la discussione del "terzo settore"? Ci sono una grande varietà di associazioni - inclusi culti e gruppi che predicano la violenza. Mettiamo queste associazioni dentro o fuori della società civile? E se fuori, dove le mettiamo? Che delle associazioni basate sulle caste o le religioni? Appartengono esse alla società civile? Molte di queste associazioni non sono basate su membri volontari o revocabili, ma effettuano le stesse funzioni che altre organizzazioni della società civile fanno - soddisfacendo l'esigenza di sociabilità, aiutando a risolvere i problemi dell'azione collettiva e fungendo da veicoli per aspirazioni specifiche. In prima battuta, teorizzare che la società civile è il regno della vita associazionistica, non è così facile come appare. Il secondo significato di società civile, come definito da Edwards, è pure pieno di problemi. Edwards insiste che la società civile è in parte un concetto normativo. Qui, i cittadini articolano la loro visione di una società virtuosa: regolata dall'amore e dal perdono, dalla verità e dalla bellezza, dal coraggio e dalla pietà. Ma in un mondo moralmente pluralista, le visioni di una società virtuosa sono multiple e possono essere incommensurabili. Come arbitriamo tra visioni concorrenti del buono? Per molti nella comunità islamica francese, "la verità" e forse una "bella" bugia in donne che indossano il velo; per il governo francese loro mentono in donne che non indossano il velo. Il problema del pluralismo morale è diventato intrattabile in molte parti del mondo semplicemente perché ogni versione del buono dovrebbe essere accettata ma non può essere accettata. Permettere a chiunque di articolare la sua propria nozione di una vita buona può essere relativamente semplice; il compito di accertarsi che i gruppi si avvicinino ad altri gruppi, con uno spirito di amore e compassione, con differenti nozioni del buono, può risultare impossibile. La società civile infatti lancia nozioni di una vita buona diverse da entrambi, gli impulsi guidati dal potere dello stato e gli impulsi guidati dal profitto del mercato. Edwards propone che la società civile globale formi una coalizione intorno all'idea che "un altro mondo è possibile. Alcuni intellettuali sostengono che "la società civile globale" significa "globalizzazione dal basso". Ma la cosa rimane dominata per le ONGs transnazionali occidentali o coalizioni slegate che perseguono le loro proprie agende. È in gran parte incoerente. La via che gli Stati Uniti hanno trovato perfettamente possibile, di ignorare la gigantesca e globale partecipazione che contestava l'invasione dell'Iraq, mostrò che la loro visione del buono è per molto inefficace. La terza definizione di società civile che Edwards identifica è la pubblica sfera, come un completo sistema con capacità di riflettere riguardo alla società, in un senso democratico. Questo è l'aspetto che adesso tratterò. Mi sembra che a meno che la "società civile" sia pensata con lo specifico significato del pubblico spazio nel quale la gente si incontra, discute e si impegna con le politiche e la politica pubblica, qualunque altra descrizione tende a sembrare sempre di più a "società" in sé e diventa indistinguibile da essa. La società può essere concepita come la totalità delle pratiche sociali in un sistema. La società civile può essere vista come la parte della società in cui la gente, come cittadini portanti, viene a contatto per discutere e prendere parte al dialogo riguardo il sistema. È in questo caso che la società civile è assolutamente indispensabile per la democrazia, nella sua promessa di un cittadino impegnato. Tuttavia, termini fini quali "impegno" diventano appiccicosi quando esaminiamo che cosa realmente significano. Sì, gli esseri umani modellano i loro mondi nel dialogo. A meno che comunichiamo con altri e ci rendiamo familiari con le loro differente prospettive, non possiamo avere giudizi informati. Anche se entriamo nelle tribune pubbliche da posizioni radicalmente divergenti attraverso decisioni meditate, i nostri orizzonti si allargano e la nostra sensibilità aumenta. I partecipanti si rendono conto che quello che noi chiamiamo imparzialità non è un "un punto di vista da nessuna parte" ma un modo di vedere il mondo dalla prospettiva d'altra gente, accanto alla nostra. Politicamente, mentre stabiliamo la nostra prontezza ad ascoltare altri con rispetto, noi stabiliamo che gli vediamo liberi, partner uguali in una riflessione continua. Significa che non firmiamo una volta-per-tutte un contratto come individui di Hobbesian. Le nostre firme sono cancellabili; esse avranno bisogno di essere di nuovo scritte in diverse date e luoghi. Infatti, per arrivare a una verità finale dovremmo proclamare la chiusura della discussione. La riflessione è un processo d'aperta indagine sulla condizione umana, non una conclusione. La idea che è il nostro lavoro, come cittadini responsabili, di sostenere una conversazione morale, è attrattiva. Ma è imparziale e giusta? La sfera pubblica può escludere certe voci e marginare altre. Dopotutto, alcuna gente può usare le parole come pugnali, e altri impiegare la capacità del polemista furbo: pause apposte, plateale retorica, un pizzico di satira qui, un pizzico d'ironia là, approccio altisonante e soprattutto l'istinto dell'assassino. A molti manca queste armi. Qui "vincerà" la discussione non ha bisogno di dare spiegazioni; è così penosamente evidente. Quindi, Nancy Fraser ha condannato il modello di dissertazione di Jürgen Habermas perché richiede che i partecipanti "inquadrino" le disuguaglianze. Comunicare come si tutti fossimo uguali quando in realtà non è così, argomenta lei, può amplificare gli effetti della disuguaglianza. Una radicale ristrutturazione della società può ancora, sembra suggerire Fraser, essere precondizione essenziale per una dissertazione imparziale Le società sono inoltre multilingue e questo genera anche dei problemi per la dissertazione in sé. Che cosa accade quando due lingue che esprimono concetti diversi si incontrano? Molte lingue, certamente, si escludono a vicenda. Ma alcune lingue acquistano dell'egemonia nel dominio della società civile e acquistano una posizione tale di sottomettere o ignorare le altre lingue. Pensate, per esempio, al linguaggio legale e burocratico che penetra la società civile ma sono incastonate nel potere dello Stato. Entrambi stabiliscono gli standard su quali vocabolari sono accettabili all'interno della sfera pubblica e quali non. Edwards inizia per riconoscere che ci sono dei problemi ma finisce con una nota così positiva che il suo scetticismo sembra abbandonato. Dice che la nostra comprensione della società civile richiede un approccio integrato che unisca i tre livelli da lui descritti. Ma non confronta il modo che la società civile può essere parte del problema. Quello che è necessario è un vigoroso impegno con i suoi aspetti potenzialmente distruttivi, come inizialmente identificato da Hegel e che più tardi interessarono scrittori come Karl Marx e Antonio Gramsci. 4. Società civile e politiche aperte
C'è un ulteriore problema. Il settore della società interessato nel dialogo, lontano da diventare più effettivo in relazione al potere dello stato e dell'autorità, si è inaridito. Alla società civile l'è stato chiesto di sostenere un fardello molto più del che può portare: vale a dire sostituendo il partito politico, il modo tradizionale di rappresentazione. Tradizionalmente, dalle organizzazioni e associazioni della società civile ci si aspetta che lavorino accanto ai partici politici. Esse alimentano gli interessi dei loro costituenti nelle loro agende e il partito ha aggiunto gli interessi dell'individuo/gruppo rappresentandoli nelle tribune decisionali. Si suppone che i partiti, inoltre, sono stati creati per accertarsi che qualcosa fosse fatta riguardo a questi interessi e bisogni, producendo le appropriate politiche. In altre parole, il partito politico funge da intermediario tra lo Stato politico e la società civile. Intorno alla metà degli anni 60, i partiti politici sembravano aver esaurito la loro capacità per rappresentare le aspirazioni dei loro collegi elettorali, diventando gerarchici, burocratici e coinvolti in un mediocre inseguimento del potere. Il fallimento dei partiti politici, e la crisi di rappresentazione che creò, non comporta la scomparsa dell'attività che noi denominiamo la politica. Invece, le pratiche politiche cercano altri sbocchi. Gli agenti dai quali si supponeva avere la capacità di aggregare degli interessi sono venuti a meno. Le nuove mobilizzazioni politiche cominciarono a raggrupparsi intorno a immediate, singole e frequenti problemi puntuali. Sono queste le ragione per cui il tentativo del politico greco George Papandreou di trasformare la natura del suo partito Pasok viene come un intervento necessario e benvenuto nell'intero dibattito sulla crisi della rappresentazione democratica. Nella sua intervista con Anthony Barnett a openDemocracy, Papendreou indica chiaramente che, per due motivi, la via "politica è stata fatta" adesso deve essere ripensata e riconcettualizzata. In primo luogo, la natura della vita politica è cambiata irrevocabilmente come conseguenza delle trasformazioni sociali ed economiche modellate dalla globalizzazione. Le tradizionali divisioni sociali e di classe hanno dato luogo a nuove identità che possono virare tra il locale ed il globale allo stesso tempo. Qualunque partito che cerca di reinventarsi - se desidera progettare agende democratiche le quali possono significativamente indirizzare questi sentimentali ma contraddittorie esperienze - deve spuntare queste nuove aspirazioni, bisogni e i suoi conseguenti timori. In secondo luogo, per neutralizzare entrambe, la pubblica apatia e la chiusa struttura del telaio del partito, i cittadini devono essere invitati a nuove forme di "fare politica" Per esempio, attraverso di un processo aperto di riflessione e partecipazione che serve a includere anziché escludere l'essere umano ordinario dai piuttosto specializzati processi decisionali. Più importante, il potere del leader deve essere sostituito dal potere di una profonda e partecipazione democratica. "Quello che noi vorremmo come partito", suggerisce Papandreou, " è sviluppare una cultura del dibattito, dialogo e critica comprensione delle questioni, dove la gente può fissare delle priorità e non semplicemente sentire dire da esperti o da leader che cosa è corretto o cosa incorretto" Tutto questo deve essere fatto anche se i leader riconoscono che il individuo moderno ha molto meno tempo per la politica di ciò che normalmente si considera dalla teoria democratica. Ritengo che Papandreou intraprendendo questo argomento abbia riconosciuto il chiaro significato della "crisi di rappresentazione". Poiché i partiti politici sono riusciti ad escludere la gente dalle decisioni che necessariamente influiscono le loro vite, la stessa gente ha perso l'interesse nei partiti e si è girata verso altre associazioni per realizzare se stessi come essere politici. Ma poiché le organizzazioni della società civile hanno considerevoli limitazioni la gente è stata lasciata alla deriva in un mondo in cui il cittadino è stato ridotto a consumatore delle decisioni arrivate da altrove. È con questo spirito che Paul Hilder nel suo contributo al dibattito di openDemocracy sulla possibilità di politiche aperte suggerisce che il rinnovamento dei partiti è fondamentale per chiunque si preoccupi per le questioni pubbliche. I partiti sono in uno stato di collasso con tesserati in calo, basse affluenze elettorali e la sostituzione delle ideologie da un giro manageriale. Prendendo il suggerimento di Papandreou di aprire i partiti, perlomeno come un'aspirazione, Hilder lavora nel come rinnovare e rienergizzare i partiti: "(la) sfida è ridisegnarli in luoghi amichevolmente umani, canalizzando la nostra saggezza collettiva anziché la nostra follia". Hilder suggerisce una spinta quadruplice:
Tutto questo non è nuovo; lo scopor di Hilder è mappare i problemi non ridisegnarli. La dissonanza tra i partiti politici e i collegi elettorali che si suppone gli vengono in contro è stata causa di molta angoscia tra i teorici politici. Un'intera industria accademica si concentra sulla rigenerazione di una comunità fuori da società atomizzate senza anima. Lavorando con dei colleghi su un progetto di ricerca che investigava "la crisi della rappresentazione" attraverso un'indagine empirica in cinque città - Delhi, Bangalore, Coimbatore, Sao Paulo e Città del Messico - abbiamo trovato che la gente esaminata ha perso la speranza in che i partiti politici rappresentino i loro interessi ma neppure hanno molta speranza nella capacità delle organizzazioni della società civile che facciano così. A Delhi, per esempio, i cittadini che cercano aiuto nella risoluzione dei loro problemi avvicinerebbero lo Stato, invece, con i loro contatti informali - come ad esempio, i gruppi da quartiere. La crisi di rappresentazione è piuttosto profonda; la politica informale che segue dall'incapacità sia dalle "tradizionali" sia dalle "nuove" istituzioni politiche per portare insieme interessi diversi ha reso la vita politica contingente e imprevedibile. La mancanza di istituzioni politiche capaci di dare una guida ai politici porta a privilegiare ogni tipo di pratiche politiche indesiderabili, che si concentrano non sulla parte civica ma sui modi etnici della rappresentazione. L'obiettivo di riunire le nostre disgiunte voci politiche cadrà necessariamente sul partito politico. Ma da che vantaggiosa posizione arbitrerà fra competere e ancora incommensurabili interessi? L'obiettivo di unire quanto appare essere degli interessi divergenti in aumento non darà al partito ancora più potere del che ha avuto prima? Siamo noi cittadini ordinari condannati alla sottomissione? Nel cuore del dibattito della società civile c'è la questione dell'agenda democratica. Possiamo "noi la gente" condurre entrambi, mercato e Stato verso una società dove la compassione e la cooperazione sono valori governativi, come Michael Edwarads suggerisce? Mi piacerebbe così pensarlo. Ma se il concetto di "società civile" deve svolgere un ruolo di guida in questo, allora esso ha bisogno di prendere una misura dei lati oscuri e in discesa della vita democratica. |